Volevano solo costruire un fortino per difendere un territorio invaso: la segheria serviva appunto a quello scopo (anche la concessione, a ben vedere, riguardava il fortino, non la segheria).
Fatto sta che trovarono le prime pepite della famosa gold rush.
Per dirla con le parole di chi smosse la zolla galeotta:
"Ne raccolsi uno o due pezzi e li esaminai attentamente; e avendo una conoscenza generale dei minerali, non potei pensare a più di due materiali che gli somigliavano: solfuro di ferro, molto luccicante e fragile, e l’oro, luccicante e malleabile.
Provai allora con due rocce, e scoprii che potevano assumere forme differenti, ma non rompersi. Raccolsi quindi quattro o cinque pezzi e andai da Mr. Scott (che stava lavorando nella carpenteria per costruire la ruota del mulino) con i pezzi in mano e dissi: «L’ho trovato».
«Cos’è?» chiese Scott.
«Oro» risposi.
«Oh! No» replicò Scott, «non può essere.»
Dissi: « Non può essere nient’altro, lo so ».
Scoperto il filone aurifero, era chiaro a entrambi che la notizia non sarebbe dovuta, per nessuna ragione al mondo, diventare di dominio pubblico.
Probabilmente il segreto peggio tenuto nella storia, come testimoniano i manifesti dell’epoca che pubblicizzavano la vendita di biglietti per traghetti verso le «Gold regions».
La California esiste perché uno svizzero ottenne una delibera e un inglese contrasse la malaria.
La corsa all’oro diede il via a uno dei maggiori flussi migratori nella storia umana: migliaia di uomini in cerca di fortuna partirono alla volta degli Stati Uniti e poi, successivamente, si spostarono in Canada e in Alaska.
Per darti un’idea di quanto John e James furono totalmente incapaci di gestire la faccenda con discrezione, da quell’episodio nacque ciò che oggi chiamiamo Stato della California.
JOHN: «Mi raccomando: non diciamolo a nessuno».
JAMES: «Ma certo che no, mica siamo scemi».
JOHN: «Giuriamo che non lo riveleremo ad anima viva».
JAMES: «Possa cogliermi la malaria se mai lo dirò».
JOHN: «Possa finire perdere tutto, se mai lo dirò io».
Marshall lasciò il Missouri per trasferirsi in California su consiglio del dottore, nella speranza di migliorare a seguito della malaria, mentre Sutter finì in bancarotta quando tutti gli uomini abbandonarono il lavoro alla segheria per dedicarsi alla ricerca dell'oro.
Dopo quella promessa solenne (il dialogo è inventato da me), alla febbre dell’oro – o corsa all’oro, che dir si voglia – sono stati dedicati film, libri e personaggi dei fumetti: fa parte della storia americana e in generale è una delle epoche più suggestive della storia umana recente.
Le dobbiamo anche l’immortale ballata Oh, Susanna! con la quale ancora oggi nelle pubblicità si vendono cereali e carne in scatola.
Quei due tizi, con la loro incapacità fuori dal comune di tenere per loro stessi il segreto del proprio successo, risvegliarono le coscienze di migliaia di avventurieri i quali, spinti dall’ambizione di migliorare la propria vita, abbandonarono il noioso trantran offerto dalla rivoluzione industriale per partire alla ricerca della propria fortuna.
Col senno di poi, per la quasi totalità di questi coraggiosi sognatori la decisione comportò il passare da un diffuso malcontento a una vita fatta di stenti, privazioni e scorbuto occasionale.
Tuttavia, come spesso avviene quando un singolo uomo cerca di migliorare la propria condizione ripromettendosi di seguire esclusivamente i propri interessi, quella spinta egoistica verso la ricerca del proprio benessere individuale portò alla generazione su scala industriale un beneficio collettivo degno delle migliori politiche del welfare moderno: miglioramento dei trasporti, creazione di reti commerciali, potenziamento del sistema monetario (basato sull’oro, per l’appunto), trasformazione di piccoli insediamenti in vere e proprie cittadine complete di servizi quali banche, empori, saloon (anche bordelli, ma ce lo leggiamo in cuor nostro, discretamente, fra parentesi) e miglioramento dei mezzi di informazione e comunicazione (esatto: John e James fallirono in modo così clamoroso nel tenere il segreto che favorirono, nel farlo, la diffusione mondiale della stampa e del telegrafo).
«Il capitalismo al suo meglio» commenterebbe Gordon Gekko.
Insomma, nella seconda metà dell’Ottocento chi era giovane, in salute e ambizioso partiva alla volta della California in preda all’eccitazione.
Sul fuoco di quest’eccitazione soffiava sapientemente chi aveva interesse nell’alimentare i sogni di riscatto nelle masse, ossia coloro che con una mano sbandieravano il sogno di un dorato paradiso, mentre con l’altra costruivano la ferrovia.
Un’industria che sapeva bene come tenere alta la speranza nei febbricitanti: ogni pepita d’oro appena un poco più grande del normale veniva sbattuta in prima pagina sui (pochi) quotidiani disponibili all’epoca.
Bastava possedere una buona memoria e una minima dimestichezza con la matematica per accorgersi che c’erano troppe pepite «da un milione di dollari» rispetto ai pochi cercatori d’oro milionari; sfortunatamente, non erano in molti a possedere entrambi i requisiti.
A ben vedere, la ragione per la quale i conti non tornavano è che certa stampa applica, talvolta, un proprio particolare modo di manipolare la realtà, tipico dei media legati all’informazione, il quale non consiste nel mentire, ma nel raccontare solo la parte dell’informazione utile a veicolare il messaggio voluto.
In questo caso, per esempio, non era falso che venissero rinvenute pepite extralarge. Ciò che non veniva evidenziato con sufficiente enfasi è che trovare l’oro non era che l’inizio dell’impresa: quei (pochi) fortunati che riuscivano a rinvenire qualche pepita, oltre che bravi a scavare o setacciare, dovevano esserlo successivamente nel fare impresa.
Una volta riempito un sacchetto sufficientemente pesante, per prima cosa lo si sarebbe dovuto impegnare come sottostante di garanzia al fine di negoziare un credito dalla banca, poi reclutare una squadra e infine allestire una miniera operativa in piena regola.
Solo da qual momento in poi, nelle tasche dei nostri cercatori d’oro avrebbe iniziato ad accumularsi lentamente ricchezza. Se poi, oltre che bravi, erano anche fortunati per una seconda volta, quella miniera si sarebbe rivelata un giacimento sufficiente a giustificare l’investimento.
Non c’era modo di saperlo prima, però, per cui rischiavi di investire tutto che avevi trovato per cercarne ancora, non trovarne più e finire in bancarotta.
Dovevi essere molto fortunato non solo la prima volta, ma a più riprese nel corso del progetto; e, durante gli intervalli tra una fortuna e l’altra, sperare che le cose più o meno normali, quelle per le quali non occorreva particolare fortuna, procedessero per il verso giusto, senza imprevisti.
Oltre a tutto questo, dovevi essere un bravo «direttore del personale» e gestire la tua miniera con «manager» che portavano tutti la pistola, bevevano per la maggior parte fino a ubriacarsi e non andavano tanto per il sottile.
Hai mai sentito l’espressione: «Peggio che arricchirsi cercando oro»?
Viene usata per descrivere chi deve compiere un’ardua impresa e si ritrova con tutte le circostanze avversa.
No, non l’hai sentita, perché nessuno dei personaggi coinvolti aveva interesse nel farlo notare.
Da un lato, per gli speculatori che si arricchivano sulle false speranze dei più, il piano stava funzionando; dall’altro, i cercatori d’oro che avevano lasciato tutto per inseguire il loro sogno di gloria erano vittime della «sindrome dell’investimento irrecuperabile»: dopo aver impegnato tutto per la licenza della propria miniera, come si poteva tornare dalla propria famiglia e ammettere che avevi commesso un errore credendo a chi te l’aveva rilasciata, alimentando le tue false speranze?
Tu lo avresti fatto? Te ne saresti accorto? A guardare il presente la risposta che verrebbe da dare è un convinto «no».
Di fronte a uno specchio, l’occhio critico diventa cieco
Guardandola dall’esterno, era evidente che il piano seguito dalla maggior parte delle persone fosse un gioco al massacro dove solo uno su mille ce l’avrebbe fatta e nel quale nessuno aveva il controllo necessario a determinare le proprie variabili.
Tutto si reggeva sull’illusione di ciascuno di essere «speciale» e di essere destinato a ricevere, prima o poi, il bacio della fortuna.
Del resto, ognuno è l’eroe della storia che si racconta.
Ma quanto può reggere un’industria basata sulla sopravvalutazione di se stessi, delle proprie idee e delle proprie reali capacità?
Oh, ne resteresti stupito: la storia ci insegna che è possibile trovare, per ogni mercato remunerativo, speculatori che costruiscono i loro business su opportunity seekers che sopravvalutano le proprie capacità, sottovalutano le circostanze e non prendono nella giusta considerazione velocità e qualità della loro execution.
Mettiamola così: le vene aurifere della California sono esaurite, ma la corsa all’oro basata su errori di valutazione, eccesso di autostima e sottostima del rischio d’impresa è ancora viva e vegeta.
Ha solo cambiato nome.
Pronto per lo Shamalaian Twist? I territori della California dove si svolse la corsa all’oro dell’epoca formano quel triangolo geografico che prende il nome di Silicon Valley.
Oggi come allora, da ogni parte del mondo, migliaia di giovani in salute e ambiziosi si recano in Silicon Valley alla ricerca della propria fortuna.
Il sogno non è più quello di trovare oro, ma di realizzare la propria startup milionaria.
Ognuno di loro è consapevole che sarà difficile, ma ognuno in cuor suo sente di essere il predestinato ed è sorretto da un intero ecosistema che alimenta quella speranza, di tanto in tanto rinfrancata dalla notizia di «exit» milionarie i cui protagonisti sono ragazzi come loro.
Se ce l’hanno fatta loro, significa che è possibile farcela. E se è possibile farlo per qualcuno, allora è possibile anche per me.
Ti ricorda qualcosa?
Le due corse
Al casinò della storia, tutti pensano di avere la strategia vincente e tutti tentano di arricchirsi seguendo lo stesso piano degli altri, partecipando alla stessa corsa.
E tutti, salvo alcuni, falliscono. Magari non si tratterà di morire di stenti o di scorbuto come nell’Ottocento, ma certamente si tratta di fallire nel piano.
Chi fa profitto da questa corsa, oggi come allora, è chi fa affari intorno alla ferrovia.
L’epoca nella quale stiamo vivendo è piena di furbi che conoscono fin troppo bene la storia e ne hanno compreso la lezione: durante la corsa all’oro, il modo più sicuro di arricchirsi è alimentare false speranze e sviluppare i propri business attorno a essa.
Oggi come allora, se si vuole prosperare occorre tenersi lontani tanto dalla corsa all’oro che da quella del topo, altrettanto insidiosa.
Ma sui percorsi da evitare torneremo nei prossimi capitoli. Ora dobbiamo tenere fede al titolo del capitolo e scoprire la chiave per prosperare nella nostra epoca e in ogni altra.
Come arricchirsi quando tutti cercano oro
I giovani che arrivarono in California, pensando di potersi arricchire grazie alla presenza di giacimenti d’oro in quelle zone, facevano tutti le stesse cose.
Tranne uno, che pensò di arricchirsi vendendo pale e picconi a tutti gli altri.
Si chiamava Amasa Leland Stanford e gettò le basi per quella che nelle generazioni a seguire divenne a più riprese la mecca dei cercatori d’oro, vale a dire la Silicon Valley.
A dire il vero, non tutti i minatori morirono; alcuni trovarono l’oro, ma della loro ricchezza non si è saputo più nulla.
Del resto, quando un patrimonio si fonda su episodi isolati, talenti fuori dal comune o circostanze irripetibili, solitamente scompare nel giro di una generazione.
La ricchezza di Stanford, al contrario, fece eco nelle generazioni a venire, poiché non si basava sulla ricerca di un episodio isolato, bensì sull’esecuzione di un piano.
I cercatori d’oro erano opportunity seeker che speravano nel colpo di fortuna, mentre Amasa Stanford seguiva un piano diverso e, soprattutto, credeva nel valore dell’execution.
Il piano di Stanford si basava sulla profonda comprensione dell’epoca nella quale viveva; in particolare, capì cosa stava facendo l’industria delle ferrovie e quali potevano essere le opportunità nascoste che lui poteva cogliere.
Stanford, comprendendo l’ecosistema, fu in grado di hackerarlo.
Bella fortuna quella di Stanford, vero?
Gli fu possibile arricchirsi vendendo pale e picconi perché l’ecosistema del quale faceva parte aveva tutto l’interesse affinché lui si arricchisse: uno Stanford ricco avrebbe reso il sistema più solido, per questo l’ecosistema stesso sembrava, per così dire, lavorare indirettamente per lui.
Dico «sembrava» perché in realtà il processo è inverso. In effetti, Stanford ha applicato ciò che potremmo definire reverse engineering: non era l’ecosistema a lavorare per lui, bensì lui ad aver concepito un metodo per arricchirsi, facendo in modo che ogni singolo elemento intorno gli fosse alleato.
In questo senso dico che Stanford ha hackerato l’ecosistema.
Il termine corretto per definire un’idea che lavora in linea con l’ecosistema al quale appartiene e fa sì che quest’ultimo, indirettamente, la sostenga, creando un simbiotico rapporto di sinergia, è «ecologico».
Stanford è stato ecologista, nell’accezione meno comune e più significativa del termine: ecologista non è colui che si sacrifica per la natura, ma colui che prospera adottando uno stile di vita sistemico alla natura stessa.
Per questo non si può definire «fortuna» quella di Stanford, bensì capacità di comprendere e adattarsi al suo tempo.
La fortuna, semmai, è la nostra: quella di vivere nell’epoca storica durante la quale fare ciò che ha fatto Stanford è semplice come mai lo è stato prima d’ora.
Per fare ciò che Stanford fece infatti, occorrono una preparazione e una predisposizione non banali: vanno reperite informazioni e chiavi di lettura trasversali, svolte ricerche e proiezioni.
Nella storia umana, ciò ha sempre rappresentato il più grande ostacolo alla realizzazione personale: occorrevano mesi, se non anni di preparazione, ed era rischioso sfidare il sistema dominante.
Inoltre, la ricerca delle informazioni e dei giusti maestri era difficilmente accessibile, richiedendo in alcuni casi di viaggiare e investire molto denaro.
Fino a oggi è stato così, ora non più: siamo nella prima epoca della storia in cui tutte quelle ricerche e quella preparazione possono essere svolte da chiunque, senza muoversi di casa, a un costo insignificante.
Bastano una connessione a Internet e un motore di ricerca.
Conclusioni
La prossima volta che il tuo aereo resterà bloccato quaranta minuti sulla pista in attesa dei controlli di routine, raddoppiando di fatto la durata di un volo di sessanta minuti, pensa questo: se la strada per diventare ricco come cercatore d’oro era impervia, non credere che il viaggio per arrivare lo fosse meno.
Appena un secolo fa il tuo viaggio sarebbe durato mesi.
Si viaggiava in carovana, si partiva alla volta della California seguendo le rotte più disparate, all’interno dei territori indiani e nel mezzo poteva accadere di tutto.
Non era così scontato che le persone alla partenza sarebbero state le stesse persone all’arrivo, e non sto parlando di cambiamenti interiori o viaggi alla scoperta di se stessi: i componenti di quei gruppi lungo il tragitto si sposavano, facevano figli, morivano, venivano attaccati, derubati e uccisi, dovevano difendersi imparando a disporre le carovane in cerchio e i loro arti potevano subire l’amputazione da parte di un chirurgo-barbiere a seguito di infezioni dovute a malattie che oggi sono solo un ricordo.
Pensaci, mentre ti lamenti della tua terribile esperienza di volo, con la hostess maleducata, il bambino che ha pianto per tutto il tempo o quella intollerabile politica per cui le compagnie aeree «al giorno d’oggi mandano sempre gli stessi film» tra il viaggio di andata e quello di ritorno.
So che è frustrante per chi lavora in aereo dover fronteggiare la tragedia di una bassa connessione Wi-Fi, ma cerchiamo di renderci conto in che epoca straordinaria stiamo vivendo: per anni persone molto più intelligenti di noi come Leonardo da Vinci hanno alzato gli occhi al cielo sognando di volare come gli uccelli, chiedendosi come sarebbe stato viaggiare fra le nuvole; oggi, seduti in poltrona nel cielo, ci lamentiamo del jet lag mentre ci viene servito il pranzo.
Siamo i primi esseri umani nella storia a godere di privilegi preclusi a qualsiasi re o imperatore mai esistito, e lo diamo per scontato – privilegi che, fra l’altro, sono riservati a noi che siamo nati sul lato «giusto» del pianeta.
Qui l’ecosistema è retto ancora da chi costruisce la ferrovia, solo che oggi si tratta di grandi aziende come Google, Facebook, Netflix o Amazon: multinazionali che basano la propria sopravvivenza sul fatto che gli utenti continuino a servirsi dei loro sistemi per soddisfare i propri interessi.
E una fetta cospicua dei loro investimenti contempla la creazione di strumenti che rendano possibile arricchirsi, grazie a quei sistemi.
Ciò significa che chi sviluppa la ferrovia oggi investe capitali sufficienti a sostenere più di una nazione, affinché noi che stiamo leggendo possiamo riuscire dove è riuscito Stanford.
Ma c’è un prezzo da pagare: così come Stanford ha evitato il richiamo della corsa all’oro, occorre comprendere l’epoca in cui stiamo vivendo ed evitare i richiami delle sirene disseminate ad arte, da chi vuole portarti a scavare nella sua miniera.
Morale della lettura
Non molto tempo fa, le persone pensavano di potersi arricchire scavando per terra.
Morirono quasi tutte di stenti, tranne una, che si arricchì vendendo pale e piccone a tutti gli altri.
Quella persona trovò un modo di hackerare l’ecosistema e portarlo a lavorare a suo vantaggio.
Noi siamo i primi esseri umani della storia ad avere a disposizione gli strumenti che ci permettono di hackerare il sistema con più facilità di chiunque altro nella storia.
Per riuscirci dobbiamo essere disposti a rinunciare alla strada che pensavamo giusta (quella del cercatore d’oro) per intraprenderne un’altra (quella del venditore di pale e picconi) che ci permetterà di agire sinergicamente ai cambiamenti della società nella quale viviamo (quella liquida) e prosperare sfruttandone le incredibili opportunità.